Titolo: Per Carlo Bo
Tecnica: Xilografia
Dimensioni: mm. 240 x 158
anno: 2021
Un aspetto della grande anima
Dell’Opera di Carlo Bo, molti hanno scritto e scrivono, molti hanno parlato e parlano. Né posso aggiungere qualcosa. Ora posso solo sottolineare un aspetto della sua umanità.
Nel 1991, per le Edizioni Scheiwiller, uscì un libro di poesie di Roberto Rebora: “Fra poco”, “con una confessione di Carlo Bo”. Proprio così: non una prefazione ma “una confessione”, dichiarata già sotto il titolo, senza possibilità di equivoci, in forma di lettera. Sarebbe bello e utile, per quelli che vivono fuori dalla vanità dei tempi, riproporla per intero. Sarebbe una consolazione. Ma ne riporto un passaggio:
“Caro Roberto, (…) devo dire subito che si tratterà di una confessione non facile, spesso dolorosa perché piena di rimorsi. Un critico commette i suoi errori maggiori non già nell’ambito delle valutazioni ma in quello delle omissioni: ciò che sembra un peccato veniale in effetti si trasforma in peccato capitale. E uno di questi errori io l’ho commesso nei tuoi riguardi: la cosa è tanto più grave perché ero nelle condizioni migliori per guardare, sentire e giudicare uno che mi è stato accanto per oltre mezzo secolo. Devo ammettere che sono stato una vittima del rumore comune, di averti cioè trascurato o perduto nella confusione dei giorni, nel giro delle mode, diciamo pure nel concerto di chi sembrava avere in mano la bacchetta del direttore d’orchestra. Né vale dirmi che un po’ di colpa l’hai anche tu per la purezza della tua vita, per non avere mai alzato la voce, per non avere mai fatto nessun segno verso i distratti, i sordi, verso chi, come me, avrebbe dovuto avere il dovere di risponderti (…), hai patito, sofferto e nello stesso tempo hai dimostrato che la poesia, quando esista, è la sola arma per respingere l’infame armata della desolazione e della disperazione. (…)”
Devo “confessare” che, quando lessi questa lettera pubblica, ho a stento trattenuto il pianto. Un tale sentimento, di regola si legge in morte dell’amico che non può più rispondere, neppure per dirti grazie. Di lodi post mortem è pieno il cielo stellato. Inusuale invece il coraggio di mettersi a nudo, di esprimere un fallimento di attenzione, di stima, di amore. Di chiedere perdono a chi vive ancora, appartato, non vociante, non richiedente.
Come a dire: il mio compito è scrivere, portare la pur piccola testimonianza della mia vita. Poi non sta a me sollevare il rumore dentro un ben più vasto rumore, per farmi notare che esisto. Carlo Bo ha accolto questa verità della purezza altrui, come una propria colpa, come una necessità di giustificazione. Grande è la ricchezza della sua anima, del suo sguardo interiore, della sua onestà intellettuale. Ce ne sarebbe bisogno in ogni tempo che si accavalla al tempo e che non fa respirare, non fa guardare la sofferenza muta che ti è davanti. A lui, questo pensiero “filiale” e fraterno: perché, se ci si sente “figli” per testimonianza ddi vita e differenza d’età, si è fraterni sempre. Oltre gli anni, oltre la fine.
Eugenio De Signoribus